UNO SPARO NEL BUIO

di Michela


Prologo

Era un assassino. E’ un assassino.
Un killer di innocenti, o non innocenti, non aveva importanza.
Devono morire tutti in fondo.
Morire.
Solitudine, angoscia, che importa
Ricchezza, bellezza, potere, che importa
Morte.
Che parola potente.
Perché?
Trovare la felicità e perderla allo stesso tempo…
C’era sangue ora sulle sue mani, sangue di altri.
Soldi. Potere. Distruzione.
Era per questo che lo faceva.
Vigliacco. Non era per questo, era solo un’apparenza che si era creato…
Spesso si chiedeva “Perché? Perché devo farlo?”
Forse meritava lui stesso di morire.
Qualcuno avrebbe pianto per lui?
No.
Sorrise.
Quando fu l’ultima volta che aveva sorriso? Quando aveva assaporato il piacere di vivere?
Da quando era diventato un killer della notte la sua vita era cambiata…

 

Parte I

Françoise uscì sul balcone… La sua vita era un turbine di balli, feste e divertimenti. Che cosa poteva desiderare di più?
Scappare… ecco cosa…
La ricca società a cui apparteneva la soffocava, tanto che a volte, le veniva voglia di urlare tutta la sua disperazione… ma non c’era via d’uscita.
Osservò il panorama che si stendeva davanti ai suoi occhi. Due uccellini le svolazzarono vicino ed andarono a posarsi sopra un grande albero.
Loro sì che erano liberi! Volavano spensierati, trasportati dal vento…
Volare via da lì… se solo avesse potuto farlo…
Ma non poteva… era sola, dannatamente sola… Come se non bastasse, era legata ad un uomo che non amava… che non avrebbe mai amato…
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“Arnoud è uno degli uomini più forti del mondo in politica! Se il matrimonio tra sua figlia e lui sarà un successo, diventerà ancora più potente!”
“In altre parole… questo non deve accadere”
“Certo che no! ”
“Dovremo eliminarla!”
“Lei? Perché non l’uomo?”
“Sai bene che è un sostenitore della nostra… diciamo… compagnia. Lei, al contrario, non significa niente!”
“Si, me ne occuperò immediatamente”
“Molto bene…”
Lo strano individuo convocò immediatamente una persona…
“009?”
Il giovane uomo apparve sullo schermo delle comunicazioni
“Sì?” la sua voce era fredda, a testimonianza di quello che era diventato. Solo l’espressione nei suoi occhi era ancora viva, lo specchio della sua anima
“Un altro lavoro per te, 009”
Rimase in silenzio
“Uccidi Françoise Arnoud. Ti spedirò immediatamente il suo file. Deve morire stanotte stessa!”
Non ottenne risposta.
“Hai capito? Stanotte!”
“Sì signore”
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Stava ancora guardando la sua fotografia.
Sorrise. Lei era un altro innocente, un altro pezzo degli scacchi…
Sei solo una macchina portatrice di morte, era solito ripetersi, solo una macchina. Non devi fermarti 009”
009. Odiava quel codice. Era solo un maledetto numero con cui veniva chiamato. Ma lui era una persona, era un uomo.
Corrotto, malvagio, ma ancora un uomo.
E lei?
Lei sembrava così pura, come l’alba che amava contemplare quando era ancora un bambino.
Ed ora?
Non aveva ancora chiuso con il passato
Non avrebbe mai potuto farlo.
L’amore è possessione, ti si spezza il cuore quando lo perdi.
L’amore è un cucciolo che ha bisogno di cure per crescere sano e forte.
Anche lui aveva amato… molto.
Ma quello che aveva visto, quello che aveva fatto, oltre alla sua condizione di cyborg, lo aveva trasformato.
Non aveva più una coscienza.
Non aveva pietà per le sue vittime, quando lo supplicavano di risparmiarli la vita.
Anche perché di solito, morivano prima che ciò potesse accadere…
Ma aveva ancora dei sentimenti.
O per lo meno, riusciva ancora a sentire la paura.
La paura, il terrore di quando la sua famiglia fu sterminata davanti ai suoi occhi.
Sapeva che non avrebbe potuto fare nulla in quel momento.
Per questo motivo era diventato un assassino, una “macchina della morte”. Adesso avrebbe potuto salvarli…
Aveva molto autocontrollo, questo sì
Forse perché uccideva per divertimento ormai.
No, non gli era mai importato dei soldi. Erano solo pezzi di carta, o dischetti di metallo.
Che cosa gli importava dei beni materiali?
Era un pazzo?
No, in fondo era una persona normale, ma può una persona normale divertirsi ad uccidere?
Non era uno psicopatico, per lui non era una scelta chi uccidere.
Era solo una persona che doveva cercare ed eliminare…
Cercare qualcuno… una donna… un sentimento… una lacrima…
Compassione. Amore.
Non ci credeva più ormai
Il mondo era diventato un inferno, dovevi sopravvivere o essere ucciso.
Aveva scelto di vivere… anche se non come avrebbe sperato un tempo.
Nascere, morire, nascere, morire…
Un circolo infinito che aveva sperimentato tante volte.
Nascere, morire.
Sperava che sarebbe finita.
Nascere, morire
No, non sarebbe mai finita

 

Parte II

Era quasi buio e lui doveva essere pronto.
Non mentalmente certo.
Oh no… lui era sempre pronto per uccidere
Osservava il tramonto; le tenebre stavano arrivando. Il sole calava lentamente nel cielo, rosso come il sangue.
Un sorriso ironico gli comparve sul volto. Persino il cielo sanguinava. Persino lui sapeva che qualcuno stanotte sarebbe morto.
Un corvo nero solcò l’aria. Il suo grido era sinistro, un richiamo di morte. Ma lui era impassibile di fronte a tutto questo.
La sua mente vagava. Anni ed anni di orrori avevano lacerato la sua anima.
Non poteva smettere di pensare alla ragazza… le sue parole, il suo viso, il suo sorriso…
Era così bella, un angelo sceso dal paradiso.
E lui che cos’era? Un peccatore, se davvero esisteva Dio, non l’avrebbe mai perdonato.
Il sole era ormai calato… ma stavolta il tramonto era diverso.
Era irreale.
Un vento freddo gli sfiorò il viso. Non se ne accorse; non poteva sentire più niente.
La morte è un pensiero ricorrente nella mente umana, soprattutto se vi hai a che fare molto spesso. Assorbe le emozioni come una spugna.
Specialmente la paura.
Lui no, non aveva paura, non un’emozione, niente.
Ormai era un robot; ma era davvero solo un’arma?
Non doveva chiederselo mai più.
Ecco la notte… la luna solcava il cielo.
Osservò attentamente il mondo che lo circondava. Lunghe file di automobili abbandonavano l’enorme villa, trasportando le personalità più disparate.
Vide la luce nella stanza della giovane donna accendersi.
Lei era una di loro. Era un altro pezzo degli scacchi della politica; senza dubbio.
Pazzo…
Chiuse gli occhi, un vento freddo lo attraversava.
Chi era lei? Perché non riusciva a smettere di pensarla?
Basta. Torna in te.
Non è altro che un’altra vittima sacrificale. Niente di più, niente di meno.
Ricordò a se stesso che era un killer, la causa di molte morti della politica… morti inspiegabili…
Sapeva che se la polizia lo avesse catturato, sarebbe morto.
Ma non aveva bisogno di nessuna pietà.
Se era il suo destino, se ne sarebbe andato con dignità.
Silenziosamente, entrò nella villa.
Raggiunse in fretta la stanza della ragazza, muovendosi nell’ombra.
Sapeva che stava dormendo dall’alzarsi ed abbassarsi regolare del suo seno, era immersa nel sonno.
I suoi capelli biondi erano sparsi sul cuscino, formavano un’aura d’oro intorno al suo viso.
Rimase un momento a guardarla. Non aveva mai visto un volto così bello.
Avrebbe voluto aiutarla…
Estrasse in fretta la sua pistola, pronto a mettere fine alla sua vita
B-bump. B-bump. B-bump.
Era pronto per il colpo finale, quello che avrebbe segnato l’ultimo battito del suo cuore.
B-bump. B-bump. B-bump.
Preparò il colpo. Non si torna indietro.
B-bump. B-bump. B-bump.
Le puntò l’arma contro…
I suoi occhi azzurri si aprirono all’improvviso. Si alzò e si mosse verso di lui, verso la pistola.
Quando fu davanti all’uomo, afferrò l’arma e la appoggiò al suo petto…
“Avanti” sospirò “Avanti, uccidimi!”
Fu colto da un moto di stupore. Nessuno. Nessuno lo aveva mai “pregato” di toglierli la vita. Nessuno.
Che cosa la torturava?
Lei non smetteva di supplicarlo con gli occhi.
E lui vide la sua vita scorrergli davanti, mentre guardava in quegli occhi.
Così tanti pensieri, così tante emozioni.
Innocenza. Paura. Sangue.
All’improvviso, sorrise ironicamente. Lei era un’innocente. I suoi occhi lo provavano.
Ne aveva uccisi molti… ma lei, lei era diversa… perché?
Che cosa la faceva diversa?
No, non poteva ucciderla.
Per la prima volta, non voleva uccidere qualcuno
Con uno scatto felino, premette con due dita un punto preciso sul suo collo e lei cadde di nuovo nel sonno.
La prese in braccio…
Era così leggera, così fragile…
Si avvicinò al balcone, preparandosi a saltare.
Non poteva stare ancora lì, l’avrebbero scoperto, li avrebbero scoperti entrambi.
Doveva allontanarsi alla svelta…

 

Parte III

Si svegliò con un gran mal di testa.
Ricordava i suoi occhi scuri. Quegli occhi color della notte. Erano bellissimi, anche se pericolosi…
Tentò di scacciare la paura.
Chi era lui?
Era venuto per ucciderla. Lo sapeva.
Ma, alla fine, l’aveva lasciata vivere…
Perché non l’aveva uccisa?
Avrebbe dovuto farlo, non voleva più vivere una vita del genere.
Lentamente, molto lentamente, aprì gli occhi, guardandosi intorno.
Era ancora notte, sebbene le prime luci del giorno illuminassero la stanza. Una stanza sconosciuta…
Si alzò.
C’era qualcuno fuori… sì, qualcuno stava fumando una sigaretta.
Si diresse all’esterno; si bloccò alla vista della persona che gli stava davanti…
“Perché non stai dormendo?” le chiese l’uomo.
Lei si ritrovò a fissare gli stessi occhi di pochi istanti prima “Chi sei tu?”
“Nessuna “ragazzina” può saperlo… non avrai più di vent’anni!”
Le saltarono i nervi “Tu non sembri molto più vecchio di me!”
Ci fu un lungo istante di silenzio.
“Perché non mi hai ucciso?”
“Perché mi hai chiesto di farlo”
“Cosa?” Françoise era un po’ confusa…
“Chi credi che io sia?” le chiese. Prima che potesse rispondergli, lui la anticipò “Sono un assassino. Un killer… uccido per divertimento… e non perché qualcuno mi prega di farlo!”
“Così… non mi hai ucciso perché te l’ho chiesto?”
Françoise era sempre più sconvolta: “Ma perché?”
Lui rispose: “Non lo so. Forse perché ho visto la mia famiglia morire davanti ai miei occhi. Forse perché lavoro per un’organizzazione che mi chiama con un numero. Forse perché tu, tra dozzine di persone a cui ho tolto la vita, sei stata la prima a chiedermi di farlo. Non lo so. Che ne dici?”
Lei fissava i suoi occhi. Non aveva mai pensato a questo.
“Mi… mi dispiace” disse
“Non ho bisogno della tua pietà.”
“Perché sei così…”
“Freddo? Senza cuore?”
“Se lo sai, allora perché?”
“Sono quello che sono… torna a dormire”

 

Parte IV

Tornò nel suo letto, gli occhi fissi al soffitto. Era bianco, bianco come la sua pelle.
La sua mente vagava.
Perché? Che cosa aveva di così speciale da pensarla ogni secondo?
Chiuse gli occhi. Provò a dormire, ma sapeva già che avrebbe avuto solo incubi.
Non c’è pace per un assassino. Nessuna tregua…
Quando si addormentava, spesso sognava che le sue vittime tornassero da lui, per tormentarlo.
Per questo, dormiva raramente e male.
Continuava a chiedersi perché… perché…
Lo assalì il mal di testa; doveva fumarsi una sigaretta. Aveva bisogno anche di una birra. Smise per un momento di pensare alla donna e si alzò.
Si diresse lentamente verso la cucina. Aprì la porta del frigorifero semivuoto e afferrò una birra.
Era al punto del non ritorno. Non era così che doveva andare.
Si trovava in una situazione davvero insolita.
Si portò la bevanda alla bocca e si sedette in un angolo della cucina.
La luce bianca della lampada gli bruciava gli occhi. Lui preferiva l’oscurità, le tenebre, in mezzo alle quali, poteva vedere le persone senza essere visto, come un lupo che attacca le sue prede.
Al pensiero della gente comune, la sua mente tornò ancora una volta alla ragazza, Françoise. Chi era? Che cosa sapevano i suoi capi di lei?
Quanto li bastava per decidere di ucciderla.
Lui era il loro miglior killer, ed entrambe le parti lo sapevano.
Avrebbe dovuto toglierle la vita… ma… al momento cruciale gli era mancato il coraggio.
Sorrise al pensiero; lui, un professionista, che fallisce un obiettivo. Non era mai successo.
Aveva cercato di rimediare al proprio errore portandola via con sé.
In fondo l’operazione non era stata un completo fallimento…
Albeggiava…
La ragazza stava ancora dormendo; si ricordò del frigo vuoto e, immaginando che al risveglio poteva aver fame, infilò il cappotto ed uscì.
Fuori, Tokyo era così tranquilla, silenziosa come poteva essere solo a quell’ora del mattino.
Arrivò al bar più vicino e prese la colazione per sé e per Françoise.
Così doveva essere la vita: semplice.
Così doveva essere: ma non per lui.
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Si svegliò, ricordandosi che non era nel suo letto…
Quell’uomo. I suoi occhi… un crampo allo stomaco…
Era molto affamata.
Beh, non risolvo niente se sto ancora qui… non posso certo pretendere che mi porti la colazione a letto!
Si alzò, ripensando a quello che le era successo giusto la notte precedente.
Si avvicinò alla porta della stanza e la aprì… non era chiusa a chiave…
Al contrario di ciò che si aspettava, la colazione era pronta sul tavolo di cucina; un enorme piatto di brioches calde.
Sorrise…
Come la scorsa notte, lui era di nuovo sul balcone.
“Buongiorno” gli disse
Non rispose… gli occhi fissi sullo skyline di Tokyo.
“Grazie per la colazione. Tu non mangi?” chiese, cercando di fare conversazione, provando a scoprire qualcosa in più su di lui.
“Ho già mangiato. Il caffè è in cucina, se lo vuoi. Non ho tè, non è abbastanza forte per me”
“Il caffè andrà benissimo”
Tornò dentro.
Si versò il caffè, continuando a pensare. Così tante cose erano cambiate dal giorno prima…
Françoise si diresse di nuovo verso il balcone con una tazza di caffè in una mano ed una brioche nell’altra.
Guardò l’uomo che l’aveva rapita.
Non provava odio, o rancore, nei suoi confronti. Nessun sentimento negativo.
La sera prima era stato annunciato il suo fidanzamento con Scarl Kugaikotsu, un potente uomo d’affari giapponese.
Lei era francese, come la sua famiglia. Erano arrivati in Giappone dalla Francia molti anni fa, quando lei era ancora piccola, così aveva imparato a parlare fluentemente entrambe le lingue.
Scarl era ricco, brillante, ma…
Lei non voleva sposarlo.
Lei voleva sposarsi solo per amore, non per convenienza.
Così, in qualche modo, quando lui l’aveva rapita, era diventato il suo salvatore, una specie di angelo custode…
Un angelo che uccideva.

 

Parte V

Se ne stavano in silenzio.
Françoise finì di mangiare la sua brioche e di bere il caffè. Avrebbe voluto iniziare a parlare, ma non sapeva che cosa dire.
Alla fine, si fece coraggio e disse semplicemente “Perché non mi hai ucciso? Seriamente”
Si sentì braccato, come i suoi bersagli. Prese tempo, non sapendo bene cosa rispondere.
Lei cominciò ad insistere, esasperata “Per favore… dimmelo…”
Lui la fissò “Ti stai per caso annoiando?” le chiese
“Annoiando?” esclamò “Annoiando? Io sono quella che vuoi uccidere a sangue freddo!”
“E sei l’unica che vuole che lo faccia” disse semplicemente. Lei emise una risata nervosa, segno che la discussione era tutt’altro che conclusa.
“E allora fallo!”
“Lo sai… a volte sembri proprio matta”
Françoise balzò dalla sedia… sempre più adirata “Tu… tu… merde!” Girò sui tacchi e si chiuse nella sua stanza.
Stavolta, fu lui a ridere. Non era stupido; sapeva come rivoltare il discorso per farla stare zitta.
Istantaneamente, si bloccò
Aveva sorriso.
Lo aveva fatto perché era felice e non perché voleva schernire qualcuno.
Lo aveva fatto. Solo un attimo, ma lo aveva fatto.
Che cos’era? Cos’era quella forte emozione che provava quando Françoise era vicino a lui?
Non era un sentimento che era solito sentire…
Che cosa gli stava succedendo?
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La sua faccia era contorta dall’ira, i suoi occhi bruciavano quelli dei tre uomini di fronte a lui.
“Che cosa significa che non avete idea di dove sia? Credevo che aveste voi la ragazza!” tuonò
“Non sappiamo dove sia” rispose Shiva. Al contrario dell’uomo, era molto calmo.
Suo fratello aggiunse “E anche se lo sapessimo, perché dovremmo dirvelo?”
“In caso contrario, la pagherete molto cara!”
Scarl gelò il gruppo “Mi aspetto che la riportiate da me” disse, prima di andarsene
“Certo…” dissero i tre fratelli, una volta che l’uomo era già lontano.
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009 uscì fuori di casa, vestito di nero, con un cappello in testa, pronto per il “lavoro”
La ragazza, lo sapeva, era nella sua stanza.
Non gli importava che cosa poteva fare, anche se poteva tentare di fuggire.
Perché continuava a tenerla con sé?
Perché gli importava?
I suoi occhi scuri erano intenti ad osservare la porta del grande palazzo, da cui sarebbe uscita una figura a lui familiare.
Arrivò dopo poco tempo.
Quell’uomo era privo di qualsiasi emozione (ma ne aveva mai avute?), come una statua.
“009” disse
“Signore…”
L’uomo arrivò subito al punto “Non hai ucciso la figlia di Arnoud l’altra notte”
Lui rimase impassibile, non sapendo bene cosa dover rispondere.
“Le nostre fonti mi hanno informato che hai tu la ragazza”
Niente.
“Per quale motivo?”
Come una pietra… come una pietra.
Quelle parole continuavano a risuonarli nella mente.
Prima che potesse dare qualsiasi risposta, l’uomo continuò.
“E’ perché ti senti solo? Desideri una compagnia femminile? Allora, 009?”
“Niente di tutto questo” Le parole li uscirono dalla bocca, seccamente.
“Allora perché?”
Silenzio…
“Puoi tenertela”
Tutto si sarebbe aspettato, ma non questa risposta
“Puoi tenertela… per adesso…finché non sarà ritrovata”
“Grazie, signore”
“Non è tutto, devo parlarti della tua missione di domani…”
Divenne ancora una volta attento.
“E’ un ragazzo, erede della fortuna dei Fujiwara. E’ stato appena ritrovato da suo padre. Prima che sapesse di avere un figlio, il suo denaro era destinato a noi. L’erede deve essere eliminato. Non sarà ammesso nessun altro errore, mi hai capito 009?”
“Sì, signore”
“Ti manderò il suo file”
Una frase che aveva sentito spesso. Portava morte, in tutti i suoi significati.
“Puoi andare”
“Sì, signore”
Si allontanò, assorto nei suoi pensieri.
Che cosa avrebbe fatto con la ragazza?
E lei?... Lei che cosa avrebbe fatto?
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Françoise uscì sul balcone.
Il suo rapitore, l’uomo che non aveva un nome, era sparito poco prima.
Dov’era?
E perché se ne preoccupava, comunque?
Era l’uomo che aveva cercato di ucciderla a sangue freddo, perché era in ansia per lui?
Era sicuramente per via della sua bontà d’animo; fin da piccola era così e a volte suo padre la rimproverava perché si faceva condizionare troppo dalle emozioni.
Sarebbe potuta scappare, chiedere aiuto…
Non fece niente di tutto questo.
Sentì chiudere una porta dietro di sé.
Era tornato.
Il suo rapitore… il suo angelo…
Era tornato.

 

Parte VI

Vide che la ragazza era sul balcone, i suoi capelli erano mossi dal vento…
Pensò che dovevano essere così soffici…
Scacciò questa fantasia dalla sua mente, chiedendosi perché faceva questi pensieri.
Perché era un uomo, con i bisogni di un uomo?
No…
Non era affatto per questo.
Era qualcosa di completamente diverso quello che provava, qualcosa di più forte, più dolce…
Ma che cos’era?
La ragazza rientrò, guardandolo dritto in volto.
Era preoccupazione quella che leggeva nei suoi occhi?
No… certo che no.
A chi poteva importare di un assassino?
Ma non si era mai sbagliato…
“Sei a casa”
Quelle due parole deviarono il treno dei suoi pensieri.
Casa?
Suonava come qualcosa di familiare; un concetto così ridicolo in quella situazione.
Non rispose.
“Io… ecco… dove…” Françoise provò a dire qualcosa, ma le parole non venivano.
“Al lavoro” le venne in aiuto.
Scosse la testa. Lavoro? Come se fosse un uomo normale.
Normale.
Normale come se dal cielo piovesse sangue invece di acqua.
Niente era normale.
Si diresse verso la sua stanza, lasciandola in salotto da sola.
Dopo pochi minuti ricomparve, portando qualche vestito.
Una semplice t-shirt nera, che sembrava troppo grande per lei, ed un paio di jeans.
“Metti questi” le ordinò.
Françoise guardò prima gli abiti, poi se stessa; era ancora in camicia da notte.
L’aveva notato?
“Grazie” mormorò, prima di dirigersi in bagno e cambiarsi.
Lui, intanto, si sedette.
Dopo un po’ di tempo, una busta bianca venne infilata sotto la sua porta.
Si alzò, la raccolse e cominciò ad esaminarne il contenuto.
Il ragazzo che doveva uccidere aveva 10 anni, era per metà giapponese, proprio come lui.
“Non ha importanza”, pensò.
Come qualsiasi altro killer, non doveva avere pietà per nessuno, anche se era un bambino.
Quello che poteva offrire era una morte rapida, ed era già molto.
Françoise uscì dal bagno, con addosso i nuovi vestiti. “Grazie” ripeté ancora una volta.
Non rispose.
All’improvviso, un colpo di vento gli fece volar via di mano il foglio che stava esaminando, facendolo cadere ai piedi di lei.
Lo raccolse, leggendo le informazioni contenute in esso.
Gli occhi di lei si spalancarono dall’orrore…
“Hai intenzione di ucciderlo?” gli chiese con voce ferma.
“E’ il mio lavoro”
“E’ solo un bambino!”
“E’ il mio lavoro” ripeté
“Come puoi fare questo? E’ un ragazzino! Un innocente!”
Lui rimase in silenzio.
“Non farlo! Ti prego, non lo fare!” lo stava supplicando
“Non immischiarti nel mio lavoro” le disse, i suoi occhi bruciavano…
Françoise non era da meno “Sei un mostro…” i suoi occhi erano pieni di lacrime, lacrime per l’innocente che lui doveva uccidere quella notte.
Si voltò e corse nella sua stanza.
Lui sapeva che stava ancora piangendo, ma la domanda era perché? Perché lei era cosi diversa per lui?
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Aveva chiuso la porta a chiave dietro di sé, sfogando tutto il suo dolore.
Perché lo faceva?
Perché?
Quel povero, povero bambino…
Sarebbe morto stanotte, solo per denaro.
Perché lacerare una vita innocente?
Il mondo… perché era così crudele?
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Era ora.
Indossò ancora una volta il suo cappotto nero, sapendo che un’altra vita sarebbe finita per mano sua.
La ragazza non era ancora uscita dalla sua stanza.
Perché?
Ma non sapeva che tutti prima o poi dobbiamo morire?
Scomparve nella notte.
La sua pistola era nascosta dentro il cappotto.
Arrivò alla casa del bambino, una grande villa.
La stanza del ragazzo aveva una larga finestra, dalla quale poteva vedere bene quello che faceva.
Così, non stava dormendo.
Non importa.
Si portò lentamente al piano superiore ed aprì la porta.
Il bambino stava di fronte a lui, a bocca aperta, senza dire niente.
Shock.
Paura.
Sentimenti che aveva visto tante volte…
“Yuki Endoso, io sono la tua morte”
Estrasse la pistola.
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Françoise si affacciò alla porta silenziosamente.
Sapeva che lui non c’era, era andato ad uccidere il bambino…
Riusciva quasi a vederlo mentre estraeva la pistola e la puntava contro il ragazzo.
E lei non poteva fermarlo.
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Prima che il bambino potesse rispondere, lui premette il grilletto.
Un fascio di luce attraversò la stanza; il respiro del ragazzo si fermò.
Un foro apparve sul suo petto; il proiettile aveva attraversato il suo corpo.
I suoi occhi chiari, poco prima pieni di luce, divennero scuri.
Cadde a terra, morto.
L’assassino sorrise.
Crudelmente.
Ironicamente.
Era questo che faceva per vivere…
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La ragazza si alzò di soprassalto dal suo letto.
Il bambino era morto… lo sentiva…
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Il killer ripose la pistola sotto il cappotto.
Dalla finestra aperta soffiava un vento gelido.
Nessun suono.
Doveva tornare a casa…

 

Parte VII

Nessuna pietà.
Nessun rimpianto.
Ma allora, che cos’erano i sentimenti che lo tormentavano?
Uscì velocemente dalla grande casa, scomparendo nella notte.
Aveva portato a termine la sua missione.
Era ora di tornare.
Che cosa avrebbe detto la ragazza?
Continuò a camminare, pensando alla donna che viveva con lui.
Perché lo prendeva così tanto?
Era per il suo sorriso?
Sì, ma non solo.
Erano Ie sue emozioni, il suo modo di vivere la vita?
Sì, era anche questo.
Sì. Sì, sì, sì.
Sorrise al pensiero dei sentimenti che quella donna suscitava in lui.
C’era una parola per questo… com’era?... sì, amore.
Amore.
Ah… una parola che conoscevano bene gli eroi.
Un eroe.
Forse lui era uno di loro?
Forse…
Alzò gli occhi alle stelle in cielo.
Si affrettò verso casa.
Doveva fronteggiare le sue paure
Le sue paure?...
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La ragazza era ancora addormentata…
Bene.
Vide che fiumi di lacrime avevano percorso le sue guance.
Avrebbe voluto toccare quelle guance, quei capelli… quel viso che aveva catturato ogni suo pensiero.
L’assassino camminò lungo il corridoio, fino al bagno.
Si tolse di dosso i vestiti ed entrò nella doccia.
Aprì l’acqua calda.
Bruciava sulla sua pelle, lavando via ogni segno di morte.
Era come un rituale, come qualcosa che cancellava le sue colpe.
Chiuse gli occhi un lungo istante.
Alla fine, quando la sua mente si schiarì, richiuse l’acqua.
Si asciugò e si rivestì, dopodiché entrò nel soggiorno.
Era completamente sveglio, ma il suo cuore gli diceva “Dormi. Dormi, così non penserai a niente, niente, eccetto i sogni”
Sogni…
Sapeva che i suoi sogni non erano altro che incubi, ma che importava?
Almeno, non c’era niente di reale.
Si sedette sul divano, con gli occhi aperti.
Fissava il soffitto, cercando di dormire, cercando di dimenticare.
Lo raggiunse un vento leggero, che lo fece rabbrividire.
Perché?
Se lo era chiesto talmente tante volte ormai.
Chiuse gli occhi.
Era pronto a morire.
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Françoise si insinuò silenziosamente nel soggiorno.
I suoi occhi, una volta abituati all’oscurità, notarono l’assassino sul divano.
“Hei?...” sussurrò.
Lui non rispose, limitandosi a sprofondare il viso nella stoffa.
Stava dormendo?
Lei si spostò sull’altro lato del divano.
Nella debole luce, notò che era veramente addormentato.
Aveva ancora una volta rinviato il confronto con lei.
Il suo volto era contorto dalla paura, dalla disperazione… mostrava innocenza.
Innocenza?
La crudele ironia di quella parola le provocò una sensazione di rabbia e tristezza allo stesso tempo.
Senza pensarci, toccò il suo viso, facendo scorrere le sue dita sulle guance di lui.
Si mosse, lamentandosi come un bambino.
In qualche modo, quel suono le fece salire le lacrime agli occhi.
In fondo, non era così diverso da lei.
Erano entrambi soli, lontani da casa…
Lui si mosse ancora, forse stava sognando…
Françoise gli si sedette vicino.
Delicatamente, pose la testa di lui sul suo grembo.
Gli accarezzò i capelli e lui si rilassò completamente.
Entrambi si calmarono…
Lentamente, anche lei si addormentò.
Questa volta, tuttavia, era diverso.
Stavolta, erano tutti e due in pace.
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Si svegliò, i suoi occhi erano pesanti.
Il giorno era ancora così lungo…
Quanto desiderava poter rimanere lì, dormire tranquillamente.
Respirò profondamente.
Aprì gli occhi e vide che albeggiava.
Chiuse di nuovo gli occhi, rilassando il suo corpo.
Cercò di ricordare che cosa era accaduto la notte prima.
La notte prima…
Si riscosse.
Perché non si ricordava niente dei suoi soliti incubi?
Perché si era svegliato così… calmo?
Qualcosa non andava.
Fissò il soffitto, che ormai conosceva a memoria a causa delle sue lunghe notti insonni.
La ragazza…
Aveva dormito accanto a lei tutta la notte?
No, non l’intera notte…
Ma lei… cosa…?
Un assassino, lui era un killer.
Come poteva una donna come lei essere gentile con uno così?
Doveva uscire da lì. In fretta.
Si alzò in silenzio, gli occhi sul pavimento, senza mai guardare la ragazza.
Chiuse la porta dietro di sé, senza il minimo rumore.
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I suoi occhi scorrevano sull’oceano, riscaldandosi alla dolce luce del tramonto.
Aveva un altro lavoro stanotte, ma non ci pensava affatto.
Non pensava a niente.
“Bugiardo”, si disse.
Pensava alla ragazza.
Non importava cosa diceva a se stesso, sapeva che era così.
Era come la religione.
Tu credi in qualcosa che non è reale.
Era come la vita.
Tu credi di poter fare tutto, qualsiasi cosa, poi un giorno, muori.
Com’è?
Com’è morire?
E’ avere un’anima, o qualunque cosa sia dentro di te, che scappa via dal tuo corpo?
O morire è solo morire, ed essere dimenticato in poco tempo?
Il sole rosso cadeva in mare, quasi stesse annegando.
Si rialzò, sapendo che aveva un lavoro da fare.
E pensando a questo, uccise un uomo, qualcuno che stava dormendo.
Quanto desiderava poter chiedere a quell’uomo come si sentiva?
Comunque, niente era paragonabile ai pensieri di un killer… aprì la porta… la sua casa… dove l’unica persona al mondo che non riusciva a comprendere fino in fondo stava aspettando.
Aspettando…

 

Parte VIII

Françoise se ne stava seduta, al buio, pensando nell’oscurità.
Volse il suo sguardo al balcone, le tende fluttuanti al vento ipnotizzarono la sua mente.
Il rintocco dell’orologio la fece sobbalzare.
Era quasi mezzanotte, e lui sarebbe dovuto già essere a casa.
Casa?
Doveva parlare con lui.
Ma di che cosa?
Di come aveva sentito freddo quando si era risvegliata, di come la scorsa notte le era sembrata un sogno?
Di cosa provava per gli innocenti che aveva ucciso, di come voleva che lui si fermasse?
Non l’avrebbe ascoltata…ma aveva bisogno di dirgli…?
Che cosa?
Perché?
Come parevano ironiche quelle parole.
Se soltanto fosse stato lì, sarebbe stato tutto più semplice.
Se soltanto…
L’orologio si fece sentire di nuovo.
Una, due, tre volte…
Quel suono echeggiava nelle sue orecchie.
La porta si aprì, silenziosamente, ma la ragazza ne avvertì comunque il rumore.
Lui scorse la sua figurina nell’oscurità.
Lei non si mosse.
Qualcosa non andava.
Non c’era sangue su di lui, ma si sentì comunque sporco.
Chiuse la porta e si avvicinò a lei.
“Dovresti dormire” disse. Era l’unica cosa che gli era venuta in mente.
“Grazie dell’interessamento, ma lo farò quando ne avrò voglia”.
Che cosa stava sbagliando con lei?
Seguì un imbarazzante silenzio.
“Hai ucciso ancora qualcuno” disse freddamente. Sembrava estranea al resto del mondo.
Non rispose, non poteva mentirle.
Lei volse il suo sguardo dal viso di lui.
“Chi era? Un altro bambino?” la sua voce era adirata.
Non sapeva se era felice di vederla così arrabbiata oppure no.
Almeno mostrava umanità.
Lei era il suo unico collegamento con il mondo ora.
Lei esprimeva tutte quelle emozioni che lui non aveva: felicità, rabbia, tristezza…
“No” fu la semplice risposta.
Si aspettava che se ne andasse, come era solita fare.
Non lo fece.
Ora se ne stavano seduti entrambi, in silenzio.
Infine, lei disse “Perché fai tutto questo?”
Lui non sapeva bene cosa rispondere. “Perché non posso tornare indietro”.
“Così fai sempre tutto quello che ti dicono?”
“Devo”
“Perché?”
Rimase in silenzio, pensando alla ragazza, alla domanda…
Quando si accorse che non rispondeva, gli fece una domanda diversa.
“Perché uccidi?”
“Perché devo. Perché è tutto ciò che so fare” disse senza pensare.
Lei esitò un istante.
“Chi sei tu?”
Nella sua mente, scattò qualcosa di ironico: Un uomo che ha commesso molti errori, ragazzina, moltissimi errori.
“Un killer”
“Come ti chiami?” lei insisteva.
Esitò. Che cosa aveva da perdere? “Joe. Joe Shimamura”
“Joe…” Il suo nome aveva un suono diverso detto da lei.
Decise di fermarsi.
Poi, “Sei diverso stanotte. Mi ascolti. Parli con me. Che cosa è cambiato?”
Lui rimase in silenzio.
“E’ perché non puoi vedere nessun’altro? Oppure perché nessuno sa che esisti?
Fece una pausa per ottenere una reazione da parte di lui.
Niente.
“E’ perché qualcuno potrebbe capire le tue colpe, vero?”
Lui gridava mentalmente Si, si, si, si!
Senza pensare, la sua mano accarezzò il volto di lui, per confortarlo.
“Per questo, non devi farlo…” gli sussurrò.
Un’auto sulla strada suonò violentemente il clacson; la finestra sul balcone era ancora aperta.
Lei si ritrasse.
“Dovresti andare a dormire” ripeté lui.
Questa volta, lei obbedì.
“Buona notte…”
Buona notte?
Fece uno sforzo per non sorridere.
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Françoise si trascinò a letto, lo sguardo fisso sul soffitto della stanza.
Chiuse gli occhi, ma non era stanca.
Era troppo occupata a pensare all’uomo, no… a Joe.
Pensava che fosse una macchina senza cuore.
Una macchina, un’arma, fatta per uccidere.
Era la vita che si era scelto, e questo era ciò che la vita gli aveva dato.
Si chiese perché, e come, era arrivato a quel punto.
Come?
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I suoi occhi si spalancarono nell’oscurità.
La ragazza… lei…
Chi era lei per fargli questo?
Una, due, tre volte…
L’orologio suonava come un richiamo lontano.
Ricordava tutto.
Tutto quello che avevano fatto a lui, a lei… al mondo.
L’unica domanda era: che cosa avrebbe potuto fare?

 

Parte IX

“Joe! Scappa, corri più che puoi!”
I proiettili fendevano l’aria.
“Padre!”
Il giovane correva, ma correva incontro a quell’uomo anziano, disteso sul pavimento, privo di forze…
“Padre, si sente bene?”
Il sangue scorreva sulle mani del ragazzo.
Le osservò, paralizzato dal terrore.
L’uomo che lo aveva cresciuto, l’unica famiglia che avesse mai conosciuto, era morto.
Ucciso come sua madre, che non riusciva a ricordarsi, da una pallottola sparata nel buio.
Anche il sacerdote era morto.
Tutto intorno a lui, ciascuno che aveva a che fare con lui, prima o poi moriva.
Un fascio di luce lo investì.
Toccava a lui adesso…
Ma l’istinto di sopravvivenza fu più forte della disperazione.
Così corse via.
Sentì gli uomini con i cani da caccia seguirlo, braccandolo come un coniglio.
Sentì risuonare il canto rauco di un corvo.
Un canto di morte.
Non devi morire.
Una scarica di adrenalina fluì nelle sue vene, dandogli una velocità inumana.
I rami degli alberi lo graffiavano, senza pietà.
Continua a correre.
I suoi occhi videro un debole raggio di luce.
Forse un luogo nascosto… lì non lo avrebbero trovato.
Corse ancora più velocemente.
Che cos’era?
Che cos’è?
Si arrestò di colpo… un precipizio…
La sua corsa era finita.
Il destino gli aveva voltato di nuovo le spalle…
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Tutto quello che voleva era sopravvivere e potersi vendicare.
Era tutto ciò che desiderava.
Invece, davanti a lui c’era l’inferno.
Che cosa poteva fare?
Stava fermo davanti all’oceano, guardando le onde schiantarsi contro gli scogli.
Stavano arrivando.
Poteva sentire il rumore dei loro passi, il ringhiare dei loro cani affamati.
Le loro torce gli illuminarono il volto, accecandolo.
“Ahh!” gridò. Le sue braccia si alzarono istintivamente a proteggersi gli occhi. Fece un passo indietro.
Lo videro.
“Siamo qui per te, Shimamura”. Era solo una constatazione di quello che stava già accadendo.
Fece un altro passo indietro.
“N-no, non ho fatto niente, non…”
Cadde.
Un passo di troppo e cadde.
Era troppo terrorizzato per gridare.
Chiuse gli occhi.
Che cosa importava ormai?
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Si ritrovò su una piccola spiaggia.
Si domandò se fosse in paradiso.
Forse avrebbe potuto vedere le persone che amava ancora una volta?
Gli scoppiava la testa.
No, no, era ancora vivo.
In paradiso non esiste il dolore.
Non sapeva se essere felice o dispiaciuto.
I suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Vigliacco” si disse. Stupido.
Si rialzò dolorante.
Lasciò che le lacrime si asciugassero.
Mai più.
Non avrebbe mai più dovuto piangere, era espressione della paura umana.
Non doveva più sperare in qualcosa che non sarebbe mai accaduto.
Si voltò verso l’oceano.
Si concesse solo un’ultima emozione.
Gridò.
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Fissava il soffitto, come ogni notte, prima di cadere in un sonno pieno di incubi.
La sua memoria ricordava come era diventato quello che era adesso, un assassino. Il prete che lo aveva cresciuto ne sarebbe sconvolto.
Ma cosa importa ora?
Da quanto tempo era sveglio?
Troppo; il sole stava sorgendo.
La ragazza…
Chi era lei per risvegliare quelle emozioni che non poteva più provare? Per cambiarlo come nessuno poteva fare?
Aveva una gran voglia di spaccare qualcosa.
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Scarl Kugaikotsu camminava nervosamente nel suo ufficio, la faccia contorta da una vivida luce diabolica.
Dov’era la sua fidanzata?
Dov’era la donna che doveva renderlo ricco?
Sapeva che era ancora viva.
L’avevano i Fantasmi Neri.
Si adirò, era quasi ironico tutto questo.
Una volta era il capo di quell’organizzazione.
Una volta era lui che dirigeva le operazioni, da quello stesso ufficio.
Ma in qualche modo, era stato messo da parte.
E non aveva potuto fare nulla per evitarlo.
Avevano persino cambiato il loro nome in Nuovi Fantasmi Neri.
Che cosa era accaduto?
Era stato tradito.
Il fatto stesso di essere il capo indiscusso era stato usato contro di lui.
Che ironia.
Bene, gliel’avrebbe fatta vedere.
Si sarebbe ripreso la sua posizione, il suo denaro, la sua vita… la sua futura moglie.

 

Parte X

“Non attaccarti a lei”.
Rimase in silenzio, mentre il suo cervello gli trasmetteva questo pensiero.
Era nervoso… troppo nervoso.
Che cosa non andava in lui?
I sentimenti che provava… sbagliati… troppo.
Perché li aveva?
Non doveva averli.
Non aveva senso.
“E’ solo un altro lavoro”
I suoi occhi si chiusero, nel tentativo di non far fuoriuscire quei pensieri dalla sua mente.
Non aveva bisogno di nessuno!
Ma che cosa stava succedendo?
Era una domanda cruciale per lui.
L’ultima domanda.
Se gli fosse ordinato, troverebbe il coraggio di ucciderla?
No.
Sì.
Un fuoco interno bruciava il suo cuore.
Il suo cuore?
Ne aveva ancora uno?

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"Shiva!"
“Sì, fratello?”
“Dov’è Vishnu?”
“Sono qui”
“Avete saputo dei tentativi di Scarl Kugaikotsu di riprendere il controllo?”
“Naturalmente…”
“Non accadrà, finché abbiamo noi la sua fidanzata, la signorina Arnoud, non oserà attaccarci e rischiare di farle del male…”
“Lui l’ama?”
“Ama il suo denaro”.
“E il suo potere”
“Che sono poi i motivi per cui la vogliamo anche noi”.
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Françoise si svegliò al solo ricordarsi delle sue molte domande.
Come poteva Joe essere arrivato a dover uccidere la gente per vivere?
Sembrava che provasse pena e dolore a volte.
Aveva detto che la sua famiglia era stata uccisa davanti ai suoi occhi.
Poteva essere stato questo ad averlo ridotto così?
No… non era pazzo, non era stato per questo, almeno non solo.
Lo aveva letto nei suoi occhi, non era stato così.
Una volta suo fratello le aveva detto che pensava troppo e lei sorrise al ricordo. Si soffermò su quei pensieri.
Pensò a sua madre.
Ah… sua madre. La bellissima moglie di un multimilionario, troppo occupato per capire la fortuna che gli era capitata tra le mani, troppo occupato per capire che la stava perdendo lentamente a causa dell’alcool…
Per una volta, trovò sua madre senza un bicchiere in mano, seduta nella sua stanza, che osservava l’enorme giardino di casa.
“Mamma, perché non posso decidere per me stessa?”
Sua madre le rispose “Perché, mia cara… gli uomini sono i nostri padroni, i nostri padri prima e poi i nostri mariti. Non è una vita facile per noi”
“Ma perché papà mi ha scelto un marito? Perché non posso sceglierlo per conto mio?”
“Perché le figlie, mia cara, in questa vita sono solo un pegno. Tuo padre lo ha fatto per il tuo bene e sono sicura che ha fatto la scelta giusta”
“Ma, mamma…”
“Françoise, lasciami sola. Tua madre è stanca”.
La sua vita era un ciclo infinito di soldi e potere.
Tutto indicava che lei per suo padre era solo uno strumento per ottenere più denaro e solide alleanze.
Doveva mostrarsi obbediente e remissiva.
Ma era stanca di tutto questo.
Quanto è orribile scoprire che sei solo una cosa, non qualcuno da amare, solo una cosa da sfruttare finché non muore.
Ma lei temeva la morte?
No… morire era solo un modo per poter scegliere in fondo.
Avrebbe potuto evitare il suo rapimento, scappare da quella casa dove era tenuta prigioniera ma… non aveva voluto farlo.
Forse avrebbe dovuto?
Avrebbe potuto essere ritrovata?
Pianse.
Potere. Dovere. Se…
Quelle parole erano così piene di speranza…
Ricordava quando l’aveva perduta?
Sì… era nel suo letto, quando udì le voci di due delle domestiche di famiglia…
“Oh, quella signorina Françoise! Hai mai visto una bambina più ubbidiente?”
L’altra sorrise “Già. Hai sentito? Suo padre sta cercando di farla sposare ad un ricco politico!”
“Ancora?”
“Stavolta sembra che sia vero! Povera bambina!”
“Beh, sai come la pensa la sua famiglia!”
Oh sì… e poi, soldi, politica, feste… Quanto vorrei che anche la mia vita fosse così!”
Le voci tacquero.
Quanto pianse allora…e quanto pianse adesso.
Ma non poteva cambiare il passato
Nessuno poteva farlo.
Doveva cominciare a vivere.
Lasciandosi definitivamente il passato alle spalle.
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Un fascio di luce investì i suoi occhi.
Pensò di stare ancora dormendo…
Non era così… respirò profondamente.
Improvvisamente, il suo cellulare squillò.
“Sì?”
“009, ti vogliamo qui appena possibile”
“Sì signore”
Il suo capo riattaccò, lasciandolo solo.
Si riscosse. Era il suo lavoro.
Non poteva tornare indietro.

 

Parte XI

Arrivò rapidamente sul posto. Entrando nell’ascensore del palazzo, si chiedeva che cosa potessero volere.
Un altro omicidio?
No… di solito lo facevano aspettare fuori per questo genere di compiti.
Era qualcosa di più urgente.
L’ascensore si bloccò al piano desiderato.
“009” disse una voce dall’ombra.
“Sì signore”
“Abbiamo una missione diversa per te”
Rimase immobile, privo di qualsiasi emozione, come un vero killer.
“La ragazza che stai sorvegliando… E’ fidanzata” La voce tacque un momento, per cercare una qualsiasi reazione nell’uomo.
Niente.
“Il suo fidanzato è Scarl Kugaikotsu, l’ex leader dei Fantasmi Neri. Ultimamente, sta cercando di riprendere il controllo dell’organizzazione. Il suo piano è quello di sposare la signorina Arnoud per sfruttare il denaro di suo padre”.
La parte successiva era facile da capire…
“Questo non deve accadere, capito, 009?”
Annuì con il capo, nella sua mente vorticavano milioni di pensieri.
“Il tuo nuovo compito è assicurarti che la ragazza si innamori di te!”
Lo colsero di sorpresa.
Ma cosa stavano pianificando?
Secondo la loro  malsana logica, se la ragazza si innamorasse di lui, anche se Kugaikotsu riuscisse a riaverla, lei non lo sposerebbe più.
“Hai capito, 009?”
“Sì signore”
“Puoi andare”
Si allontanò, gli occhi fissi sul pavimento.
Che cosa avrebbe fatto adesso?
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Françoise si domadava che cosa pensasse la sua famiglia della sua scomparsa.
Sapeva che l’avrebbero potuto scoprire facilmente dalla TV, ma non ne era sicura.
I suoi sentimenti sarebbero cambiati se avesse visto sua madre piangere, credendola morta?
Scosse la testa, confusa.
Sentì dei passi in corridoio, fuori dalla porta.
Come questa si aprì, venne svelato il mistero: Joe.
“Ciao…”
La guardò in volto sorpreso, come se non si aspettasse la sua presenza.
Lei notò i suoi occhi, così diversi…
Di solito, erano così sicuri. Che cosa era successo?
Fu assalita dalla confusione.
Senza dire una parola, lui la oltrepassò e si diresse verso il balcone.
Che cosa doveva fare?
Restare lì o andare da lui?
Alla fine, il suo orgoglio prese il sopravvento; se non voleva parlare con lei, perché mai avrebbe dovuto andare da lui ad elemosinare una conversazione?
Si incamminò lentamente verso la sua stanza.
Quindi, si sdraiò sul suo letto e rimase a fissare il soffitto, pensando a se stessa.
Mistero…
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Doveva essersi addormentata, perché quando riaprì gli occhi, fuori era già buio.
Françoise entrò in salotto, cercando con gli occhi l’uomo che aveva rivoluzionato la sua vita.
Non c’era nessuno.
Improvvisamente, un forte bussare alla porta, accompagnato da risate.
Non sapeva cosa fare, rimase paralizzata dal terrore.
Senza aspettare che la porta fosse aperta, il pomello girò.
Entrarono tre uomini.
“Hey 009!” chiamò uno di loro. Aveva i capelli rossi. Teneva in mano una bottiglia di birra. “Dove diavolo sei?”
Un altro uomo lo interrupe, dicendo, con fare da attore teatrale “Zitto, 002! Non vedi che siamo in presenza di una signora?”
L’altro dei tre, con i capelli bianchi e gli occhi di ghiaccio, la osservò attentamente. Sembrava più sobrio dei suoi compagni. “Signorina, dov’è 009?”
“Io… io non lo so…”
“Ok! Possiamo bere comunque qui! Io sono 007!”
L’uomo dai capelli rossi aggiunse “Io sono 002”
“Ed io sono 004”
“Perché vi riferite a voi stessi con dei numeri?” balbettò Françoise.
“Perché siamo uomini d’affari!”
“Non mentirle! Siamo dei killers, non bravi come 009, ma ce la caviamo! I numeri servono ai nostri superiori per riconoscerci!” disse 002
“Dov’è 009?”
“Non lo so…”
“Beh, visto che non è qui, perché non beve qualcosa con noi?”
“No… io non bevo..”
“Oh andiamo! Non è che una birra! Mica ti uccide!”
Si guardò intorno, incerta sul da farsi. Alla fine, prese la birra offerta.
Se solo avesse saputo quanto le sarebbe costata cara!
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Aprì la porta e vide alcuni dei suoi “amici” insieme alla ragazza.
Al primo sguardo, sembrava proprio ubriaca.
“Che cosa pensate di fare?” disse con una voce fredda come il ghiaccio.
I tre uomini si voltarono verso di lui.
“Hey 009!” disse 002 “Ti unisci a noi?”
I suoi occhi erano scuri.
“Che cosa pensate di fare?” ripeté.
“Ci stiamo solo divertendo un po’!”
“Andatevene!” La sua voce era calma, ma il comando era stato chiaro.
I tre uomini lo conoscevano bene e quindi afferrarono le loro birre e se ne andarono senza protestare.
Appena la porta si richiuse, lui si diresse verso la ragazza.
La sua testa era inclinata su un lato e lei protestò quando le prese la birra dalle mani.
“Hey! Ridammela subito” disse con voce malferma.
Ovviamente, non era abituata a bere.
Non sapendo cosa fare, la portò nella sua stanza.
Lei cercò di protestare debolmente quando si sentì sollevare dalle sue braccia.
La depose sul letto, osservandola. Aveva gli occhi chiusi, così lui si voltò per uscire.
Inaspettatamente, lo afferrò per un braccio, con una forza sorprendente.
“Non lasciarmi…” si lamentò, le lacrime le scendevano sulle guance.
“Non voglio farlo” “Devo andare di là, Françoise”
“Per favore… torna qui”.
Lasciò la camera e si diresse verso il bagno.
Aprì l’armadietto, prese una bottiglietta di sonniferi e ne tirò fuori una pillola.
Tornò nella stanza di lei e provò a farle prendere il sonnifero. Ma lei non reagiva.
“Deve riuscire a dormire!” provò a convincersi che lei non avrebbe ricordato nulla… e lo fece.
Si mise la pillola in bocca e si piegò sul volto della ragazza.
Le labbra di lei si aprirono istantaneamente, come se lo avessero sempre fatto.
Lui si fermò un istante, poi spinse con la lingua la pillola nella bocca di lei.
Non avrebbe ricordato…
E forse era meglio così…

 

Parte XII

Ogni piccolo suono era ingigantito cento volte per Françoise.
Aprì un poco gli occhi…
La sua testa martellava come un tamburo.
Gemendo dal dolore, si girò nel letto.
Dall’altra parte, c’era il suo rapitore, il suo assassino.
I suoi occhi erano rossi, stava appoggiato alla parete e la guardava.
“Hai mal di testa?”
Lei annuì “Già” La sua voce era roca, come se non parlasse da anni.
“Stai ferma”
Sparì dalla stanza, senza guardarla.
Provò a ricordare che cosa era accaduto.
Tutto quello che le veniva in mente era il liquido scuro, i tre uomini che l’avevano convinta a berlo e poi… il buio.
No, c’era qualcos’altro.
Una forte sensazione di calore e sicurezza.. qualcosa che non aveva mai provato prima.
Come poteva non ricordarsi cosa era successo?
Lui tornò con due pillole ed un bicchiere d’acqua. Le porse a lei, evitando di incontrare i suoi occhi.
Cos’era accaduto da far sì che lui non avesse il coraggio di guardarla?
“Grazie… cos’è successo stanotte? Non.. non abbiamo…”
"No."
Le risparmiò l’imbarazzo, ma le sue guance erano già arrossite.
Sospirò di sollievo “Ah… bene”
Così, non ricordava proprio niente.
Bene.
Che cosa avrebbe pensato?
Come si sarebbe sentita?
Disgustata, tradita…
Questo credeva che avrebbe provato.
Questo era quello che provava lui, di solito.
Lei non era come lui.
Non lo sarebbe mai stata.
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Era seduto sul balcone, quando sentì dei colpi improvvisi alla porta.
Aprì, era un amico.
No, solo un conoscente.
Il killer che stava di fronte a lui era 004.
Era uno specialista di pistole ed armi.
“Sì?”
“Dov’è la ragazza? Ho sentito che è lei la tua piccola missione”
“Sta ancora dormendo”
“Postumi della sbornia?”
“Più o meno”
“Nient’altro che l’abbia fatta stancare?”
"No”.
004 sogghignò “Sei proprio un santo, sai?”
Lui rimase in silenzio.
Sorridendo, l’uomo dai capelli d’argento disse “Sono qui per dirti che 002 ha preparato una sorpresa per te. Ti arriverà presto”
E senza dire altro, se ne andò.
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Non avevano parlato per un giorno intero.
Che cosa non andava?
Qualcosa stava per accadere; Françoise lo sentiva.
Gli aveva fatto qualcosa… forse lo aveva fatto star male?
Era buio nella sua stanza, ma lei non accese la luce. Invece, si sedette sul bordo del letto, guardando fuori dalla finestra.
Non poteva sentire il rumore delle strade, ma sapeva che c’era.
Tutto era vivo, ma lei?
In fondo non aveva fatto altro che spostarsi da una prigione ad un’altra.
Ma cosa poteva fare?
Era solo uno strumento per stringere alleanze, per combattere guerre.
Si sentiva sola. Non riusciva a pensare…
Joe…
Che cosa stava sbagliando con Joe?
Scosse la testa.
Non resisteva più.
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Era buio fuori e lui era seduto sul balcone ancora una volta.
Ed ancora una volta, sentì bussare.
Si diresse pigramente verso la porta.
“Sì?”
Una donna comparve sullo stipite. Aveva i capelli rossi e gli occhi blu. Si passò lentamente la lingua sulle labbra.
“Ciao…” gli sussurrò entrando.
E così, quella era la sorpresa? Una prostituta?
Chiuse la porta e si avvicinò alla donna.
Lei si muoveva contro di lui come un serpente, cercando di sedurlo.
Cominciò a baciarlo sul volto, fino ad arrivare alla bocca.
Lui provò a rimanere lucido, cercando un modo di allontanare quella donna da sé.
Ma…
Il suo corpo lo desiderava.
Se solo fosse stata un’altra…
Una donna con i capelli color del sole e gli occhi azzurri.
Se solo…
La sua mente si perse.
Se solo…
Non sentì la porta aprirsi.
Se solo fosse lei…
Per un attimo, le tre figure rimasero di pietra, senza nessun movimento.
Alla fine, la voce della sconosciuta disse “E tu chi sei?”
Françoise girò sui tacchi e corse nella sua camera.
La donna tornò a rivolgersi a lui “Bene, ora che i bambini sono andati a letto, possiamo divertirci”
Ma lui l’allontanò bruscamente, spingendola verso l’uscita.
“Ehi, cosa stai facendo?”
“Vattene!” disse
“Scusa?”
“Hai sentito bene: vattene!”
Sapeva bene che doveva obbedirgli se non voleva morire.
Uscì, ma ebbe il tempo di dirgli poche sarcastiche parole.
“Credevo fossi un uomo! Sei proprio senza palle!”
Le sbatté la porta in faccia.
Non si era mai sentito così in colpa.
E per diverse ragioni…

 

Parte XIII

"Françoise!" urlò.
Stava colpendo la porta della stanza di lei con forza.
“Apri la porta, Françoise!” ruggì.
Nessuna risposta
“Apri, o giuro che la butto giù!”
Ancora niente.
Prese lo slancio e… la porta cadde immediatamente.
“Tu… mostro incivile!” gridò una furiosa Françoise.
“Ascoltami! Non è come sembra!”
“E’ proprio come sembra invece… non credo di dover sentire altro!”
“Accidenti… ti ho detto che non è come pensi tu! E poi… anche se lo fosse… io sono un uomo, dannazione!”
Lei rimase senza parole.
“Quello che è successo non è per colpa mia” La fermò con un gesto della mano, prima che potesse interromperlo di nuovo “Me l’ha mandata uno dei miei amici”
Lei lo guardò negli occhi.
Bruciavano, ma non mostravano segno di falsità.
“Perché ti giustifichi con me?”
Lui ignorò la domanda e la fissò attentamente.
“Non ti ricordi proprio nulla dell’altra notte?”
Che significa?
Continuava a guardarlo rimanendo in silenzio.
Alla fine uscì dalla stanza senza dire una parola.
Lui non la seguì e lei si diresse in cucina. Trovò un contenitore con del ghiaccio, lo prese e tornò indietro.
Lentamente, posò il ghiaccio sulle mani di lui, doloranti per l’accaduto.
“Non hai paura di me?” le sussurrò
“Dovrei averne?”
“Potrei ucciderti in pochi minuti.”
“Allora fallo”
Non dissero niente per un momento. Poi, lei intervenne “E tu…Hai paura di me?”
“Perché dovrei averne?”
“Perché ogni volta che cerco di avvicinarmi, tu mi allontani. Perché?”
“Perché… perché odio il tuo modo di essere” rispose lui.
“Non ti credo. Se davvero mi odi, allora stammi lontano!” lo stava guardando dritto negli occhi “avanti… fallo!”
Lui non si mosse, fissava quegli occhi azzurri, così intensi.
Il silenzio riempiva l’aria…
Poi, lui improvvisamente le prese le spalle e la spinse contro il muro, bloccandola “Tu…Tu non hai idea di cosa mi hai fatto!”
Il suo bacio arrivò inaspettatamente, violentemente.
E lei ricambiò quel bacio con una passione che non aveva mai creduto di poter provare…
“Che cosa mi hai fatto…”
Lentamente, la condusse verso il letto, continuando a baciarla.
Non provava un sentimento simile da un tempo infinito, forse non l’aveva mai provato. Aveva bisogno di lei… doveva essere sua… soltanto sua e di nessun’altro.
Lei si ritrovò tra le sue braccia…
Che strano…era una sensazione che conosceva già…
Improvvisamente si ricordò della notte precedente… delle sue labbra sulle sue…
Ma ora, tutto era diverso…
“Io lo voglio…”
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Si svegliò la mattina seguente sentendosi finalmente viva.
Senza aprire gli occhi, sorrise.
Per una notte lui non era stato portatore di morte; per una notte erano stati solo un uomo e una donna…
Avrebbe voluto che quel momento tra di loro durasse per sempre.
Ma non poteva essere purtroppo.
Era questo l’amore? Capire di provare dei sentimenti che non avrebbe mai potuto esprimere completamente?
Doveva tenerli nascosti in fondo all’anima?
Perché? Perché?
No… non doveva pensare a queste cose così dolorose, quando aveva appena cominciato a vivere.
Oh se soltanto l’amore non fosse così difficile, se solo la sua vita non fosse obbligata dalla società.
Non era lì. Aprì gli occhi, cercandolo, ma lui non c’era, il letto era vuoto accanto a lei.
Dov’era?
Si sentì improvvisamente, di nuovo, sola.
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Intanto, l’oggetto dei suoi tormenti, se ne stava seduto in solitudine su una panchina lontano da casa, immerso nei suoi pensieri.
Che diavolo aveva combinato! Non avrebbe dovuto cedere alle sue emozioni…
Ma lei era così bella, così dolce… per una volta si sentiva sereno come mai prima.
La sua vita era sempre stata piena di sangue, paura, rabbia, tutti sentimenti che avrebbero distrutto lo spirito di chiunque.
Ma non il suo. Non il suo.
Fin dove lo aveva condotto la vita?
Un freddo killer, un assassino… il suo amante… solo per un ordine ricevuto.
No… non era del tutto vero.
Tutto ciò che lo aveva condotto a questo era stato per suo volere.
Aveva venduto la sua anima al diavolo e non se ne era mai pentito.
Ma ora…
Avrebbe voluto portarla via con sé, in un posto dove potessero stare insieme e non avere più paura.
Paura?
Non credeva di poter provare ancora paura.
In fondo, lui era morto per il mondo… morto e risorto nelle vesti di un assassino, come la Fenice risorge dalle sue ceneri.
La sua vita non poteva essere peggiore di così.
La vita era crudele

 

Parte XIV

Così… loro avevano dei piani per la ragazza, no?
Erano degli idioti se pensavano che non avesse spie all’interno dell’organizzazione. Ora… ora avrebbero sofferto le conseguenze delle loro azioni…
Chi erano per fare tutto questo?
Lui era il padrone di tutto! Anche adesso!
Chi erano per pensare di tenerlo buono con le loro idee, fragili come i basamenti deboli di una casa; basta un soffio di vento per farla crollare!
Si bloccò di colpo.
Dolce… dolce dolore.
Aveva vissuto per infliggere dolore, lo sapevano tutti…
Ora… chi stava seducendo la sua fidanzata, l’unica che poteva renderlo ricco?
Oh sì… lo stesso uomo che invece avrebbe dovuto ucciderla!
La vita era davvero ironica.
Erano caduti entrambi nel vortice dell’amore…
Amore…
L’amore era solo per i deboli, per gli sciocchi…
E lui non lo era.
L’avrebbero pagata cara.
Tutti quanti…
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Sì.
No.
Lo voleva.
Ma era sbagliato.
Avrebbe voluto gridarlo al mondo, ma non poteva.
Scosse la testa; troppi pensieri…
Scappare sarebbe stato un sollievo, ma era impossibile.
Se se ne andasse, se morisse, che cosa accadrebbe a Françoise?
Aveva voglia di spaccarsi la testa contro un muro; come poteva essere stato così stupido?
Non doveva perdere il controllo.
Ma ormai… non poteva tornare indietro…
Che cosa pensava lei? Che cosa stava facendo?
Stava piangendo… riusciva quasi a sentire le sue lacrime.
Se solo non avessero fatto l’amore… sarebbe stato più semplice eseguire gli ordini.
Accidenti… ora mentiva anche a se stesso!
Dio, perché?
Perché mi hai fatto venire al mondo solo per soffrire?
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“Shiva… 009 si sta attaccando troppo alla ragazza!”
“Lo so, fratello…”
“Vishnu, credi che sia una cosa positiva?”
“Certamente. La ragazza sicuramente lo ricambia, così, quando lo uccideremo, lei morirà con lui!”
“Ed il suo denaro?”
“Arnoud ha accettato di parlare con noi circa la morte della figlia”.
“Crede ancora nella sua morte?”
“Naturalmente…”
“Eccellente. Il nostro piano sta procedendo alla perfezione”.
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Ritornò, gli occhi stravolti, come quelli di un uomo morto che attende la sepoltura.
Lei non sapeva che cosa dire, come dirlo. Tutto quello che voleva era stare con lui.
“Joe… io…” cominciò.
Com’era difficile… sentire il suo nome, sapere che ne aveva ancora uno, ma non rispondere ad esso.
Era il nome di un uomo che era morto molto tempo fa…
Che significato aveva ora?
La vita era troppo lunga…
La guardò… la sua voce era stranamente calma nel risponderle “Françoise… non avremmo dovuto farlo.”
“Farlo?” le sue guance arrossirono “fare cosa?”
Fece un passo indietro, cominciando ad ansimare come dopo una lunga corsa “Che significa?”
“Non possiamo fare questo” disse.
Lei non riusciva a pensare a nulla “Non possiamo fare questo” gli ripeté come un’eco “Chi sei tu per dirmi quello che devo o non devo fare? Non ne hai il diritto!”
La prese di nuovo per le spalle, come la notte precedente, stavolta però lottando per non cedere alla tentazione di poggiare di nuovo le labbra sulle sue.
“Tu non sai che cosa hanno in mente per te. Non immagini neanche il dolore che sono in grado di infliggerti. Non dirmi che vuoi questo!” le sibilò.
“Non m’importa” sospirò, chiuse gli occhi e si appoggiò a lui “Non m’importa finché sono con te”.
No… No!
Non doveva amarlo. No. Nessuno doveva amarlo. Non aveva un cuore e nessuno è in grado di amare qualcuno senza cuore.
Ma lei sì.
Era un angelo caduto all’inferno.
E lui l’amava… l’amava.
Le labbra di lei gli sfiorarono le guance, confortandolo in un modo che le parole non sarebbero mai state in grado di esprimere.
Lui la lasciò fare… poi incontrò i suoi occhi, allora l’avvicinò a sé e la baciò prima dolcemente, poi sempre più profondamente, aprendo la porta a tutto quell’amore che si era sempre tenuto dentro, che nessuno aveva mai voluto.
Era così dolce…non avrebbe mai voluto lasciarla andare…
Si separarono un istante, rimanendo abbracciati, e gli occhi di lei incontrarono quelli di lui ancora una volta.
“Ti amo… tutto il resto non conta per me”.
Amore…
Amore…
Amore…

Parte XV
Si ricordò di un racconto che aveva sentito da bambina, Romeo e Giulietta.
Allora, si era arrabbiata con la protagonista, per il suo comportamento stupido.
“Giulietta è un’idiota a seguire Romeo nella tomba. Perché non continua a vivere senza di lui?”
Avrebbe voluto gridarle che l’amore non contava niente, tutto quello che importava al mondo era il denaro.
Ma quello era prima… prima che le accadesse tutto questo.
Ora credeva in quella storia.
Perché…
Perché ora anche lei sapeva cos’era l’amore.
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"009."
“Sì, signore”.
“La missione è completata?”
“Sì, signore”
“Eccellente. La ragazza, dov’è?”
“Nel mio appartamento”.
La sua voce era fredda, come al solito. Ma… oh… i suoi pensieri… erano impazziti, come un puzzle appena compiuto che cade per terra e si rompe di nuovo in mille pezzi.
“Bene. Abbiamo una nuova missione per te, 009”.
“Si, signore” non era una domanda, era solo una constatazione di fatto.
“Il suo fidanzato la sta cercando ancora da noi. Uccidilo. Immediatamente!”
“Sì, signore”
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Se la sua vita fosse una storia da raccontare ai bambini, urlerebbero di terrore. Se gli uomini conoscessero il suo cuore, tremerebbero. Se il mondo sapesse…
Oh, che scherzi gli combinava la mente.
Ora, ironia della sorte, doveva uccidere l’uomo che… sì… voleva sposare la donna che lui…
Amava?
Sì, è proprio così.
Sapeva che lei lo amava. Lo aveva amato fin dal primo momento.
Il tempo è davvero curioso. E’ velocissimo nel passato, ma lento nel presente. Perché non si può tornare indietro?
Perché non può capovolgere il passato, ucciderla come gli era stato ordinato di fare? Almeno se ne sarebbero andate quelle voci nella sua mente che gli dicevano No, no, no!”
Sapeva che non avrebbe potuto farlo.
Il sole stava calando, ricordandogli tutto quello che era accaduto e quello che doveva ancora accadere.
Doveva trovare la casa di Scarl Kugaikotsu prima che facesse buio.
Perché?
Perché aveva un piccolo regalo per lui…
La morte.
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Aveva sempre usato una maschera di falsa sicurezza.
Di solito osservava sempre che cosa facevano le sue vittime, prima di ucciderle.
L’uomo, molto alto e con un vestito costosissimo addosso, passeggiava nervosamente.
Presto sarebbe scoccata la mezzanotte, l’ora della sua morte.
E così sarebbe stato.
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Si sentiva osservato… ne era sicuro… lo sapeva.
Un killer mandato dai Nuovi Fantasmi Neri, pensò.
Patetici sciocchi.
Lo credevano davvero così stupido?
A quanto pareva sì.
Bene, come sempre, avrebbe mostrato loro la vera forza, il vero potere!
Si erano forse dimenticati che era stato lui ad assoldare i primi assassini, ad addestrarli come guerrieri? Conosceva bene tutti i loro trucchi.
Avrebbe condotto il gioco ancora una volta.
Che sorpresa per loro!
L’orologio cominciò a scoccare i rintocchi della mezzanotte.
Eccellente.
L’ora della morte
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Percepì qualcosa che non andava. L’uomo somigliava a tutte le sue vittime, ma c’era qualcosa…
Non guardava mai la finestra, sembrava non avere il minimo sospetto…
Allora perché sentiva che le cose non andavano bene?
Sentì lo scoccare della mezzanotte, era l’ora. Ma perché aveva paura?
Paura… un segno di vigliaccheria che gli lacerava l’anima.
L’uomo si voltò.
Perfetto.
Aprì silenziosamente la finestra, preparandosi ad uccidere.
La sua pistola era pronta, una fame di distruzione pervadeva l’aria.
L’uomo era ancora fermo nella sua posizione.
Tirò indietro l’innesco dell’arma.
Qualcosa non andava…l’uomo… stava sorridendo…di vittoria…
Conosceva bene quel sorriso!
L’uomo estrasse una pistola, piccola, ma abbastanza potente da ucciderlo.
Uno sparo risuonò nell’aria..
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Scarl avrebbe voluto ridere di gusto della faccia sorpresa di quello sciocco.
Era questo quello che più adorava al mondo…
Ora… cos’altro doveva fare?
Ah sì…
Uno sparo.
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Sentì un dolore terribile alla spalla, una pallottola. Si irrigidì e cadde a terra.
Si coprì la brutta ferita con una mano. Il sangue scorreva inevitabilmente.
Doveva tornare indietro. Doveva tornare da Françoise, prima che le accadesse qualcosa.
Doveva assolutamente farlo.
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Françoise camminava avanti e indietro nell’appartamento, come una tigre in gabbia.
Improvvisamente, sentì qualcosa cadere sul pavimento fuori dalla porta.
Senza pensare, aprì… rimase pietrificata.
Joe.
E stava sanguinando copiosamente.
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Scarl ebbe quasi un moto di rammarico quando si accorse che la pallottola non aveva colpito il killer al cuore, ma solo alla spalla.
Raggiunse la finestra, cercando l’uomo.
Vide qualcosa di bagnato sul davanzale.
Sangue.
Perfetto.

 

Parte XVI

Una volta un giornalista gli aveva chiesto che cosa ne pensasse della violenza. Aveva sorriso e risposto “Oh no, la violenza non rientra nel mio stile di vita”.
Bugiardo!
La vita era un ciclo di violenza, denaro e, soprattutto, potere. Non esisteva l’amore, il calore, la felicità.
Questi erano i sentimenti di uno sciocco, di uno che non sapeva come vivere.
Cos’è la cosa più importante da definire “potere”?
Sapere di essere in grado di fare qualsiasi cosa volesse? Oppure il pensiero che una miriade di piccoli insetti vivevano sotto di te e potevano essere schiacciati in qualsiasi momento? Si, era questo e molto di più.
Era il potere.
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Stava fluttuando… fluttuando nell’aria…
No, era in acqua; stava andando alla deriva, lontano da tutto.
Non voleva più vedere le loro facce, mai più…
Poteva andarsene, poteva volare via…
Era buio… l’acqua era scura, non riusciva a vedere se stesso.
Non poteva vedere nessuno, e non gli importava.
Stava bene…
Nessuno poteva strapparlo da quel posto meraviglioso.
Era così tranquillo…
Non sentiva niente, non sentiva altro che l’acqua…
Era così rilassante…
Non voleva andarsene da lì…
Sembrava un sogno…
E lui voleva rimanere in quel sogno.
Per sempre.
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Françoise lavava via il sangue dalla spalla di Joe.
Aveva paura… temeva per la sua vita.
Stava smettendo di lottare, stava lentamente perdendo la sua volontà di vivere.
No, questo non doveva succedere.
Cercava disperatamente di aiutarlo, di riprendersi l’uomo che amava.
La ferita peggiorava e ormai erano passate diverse ore.
Una pallottola lo aveva colpito… era tutto quello che era riuscita a sapere.
Perché si rifiutava di reagire?
Era un killer.
Sapeva bene cosa fosse il dolore.
Ma allora perché? Perché la stava abbandonando?
Forse, in fondo, anche lui aveva paura, anche lui provava dei sentimenti.
Non era una pietra…
Ed ora, gli stava morendo tra le braccia…
No, non era ancora perduto
Tutto si sarebbe sistemato
Lei ci credeva… doveva crederci…
"Joe!"
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Faceva così caldo…
Ma lui si sentiva freddo… il gelo lo stava avvolgendo in un bozzolo di dolore.
Non si preoccupava più adesso del dolore che lui stesso aveva più volte inflitto.
Che cos’era questo?
In fondo, era mortale…
Questa era la sua condanna a morte, e non c’era niente che potesse fare per impedirla.
Era cambiato… una volta non avrebbe reagito così… perché era cambiato?
Perché si era innamorato?
Françoise…
Il suo nome era così delicato, così bello da pronunciare.
Perché è accaduto questo?
Se davvero esiste il destino, se davvero esiste un dio, perché ha compiuto questa scelta per lui?
No, no, non doveva pensare queste cose; lui era un uomo libero.
Lui solo poteva decidere di vivere…
O morire.
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Françoise osservava il viso pallido di Joe, continuando ad asciugargli il sudore dalla fronte.
Era così calmo, troppo calmo.
Stava accadendo qualcosa. Qualcosa di terribile…
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Sentì qualcuno dire il suo nome…
Il suo vero nome…
Quella voce… era familiare…
Soffocava, stava soffocando sepolto dall’acqua scura e nessuno poteva aiutarlo.
Nessuno tranne lei.
Lei lo chiamò di nuovo, piangendo…
La sentiva, riusciva a sentirla, anche se era così debole.
Ma lui, che cosa ci faceva in mezzo all’acqua?
Doveva uscire
Doveva uscire da lì.
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Françoise piangeva di gioia mentre esaminava la sua ferita. L’emoraggia aveva rallentato il suo corso e presto si sarebbe arrestata del tutto. Adesso stava riposando.
Prese un rotolo di bende e con delicatezza le avvolse intorno alla sua spalla, poi lo guardò in volto.
Era… così freddo, così fragile.
Non era più un assassino…
Non aveva più niente del killer…
Le sfuggì un lamento.
“Joe… che cosa sarei io senza di te? Cosa farei?”
Lui si agitò nel sonno.
Lei continuò a parlare.
“Lo sai che mi hanno sempre considerato una bambolina di porcellana che prima o poi è destinata a rompersi?”
Si fermò piangendo “Avrei tanto voluto rompermi… così non avrei più dovuto fingere.. sai?”
Gli occhi di lui erano ancora chiusi quando le rispose “Sì…”

 

Parte XVII

“Joe! Sei sveglio!”
La sua voce era musica per le sue orecchie.
“Già…”
“Ero così preoccupata! Cos’è successo?”
“Sono stato colpito. Dal tuo fidanzato.” La sua voce era più dura della pietra, così fredda…
Lei si portò le mani alla bocca. “Scarl?” Un’espressione preoccupata le comparve sul viso.
Lei conosceva quell’uomo… Voleva forse proteggerlo… Lo amava?
No, no, si stava sbagliando…
Lei amava lui.
Lei lo avrebbe amato e lui…
Anche lui l’amava.
Non importava quello che sarebbe accaduto…
Lui aprì gli occhi ed osservò quel volto così bello. “Sono stato mandato… sono stato mandato ad ucciderlo”
Gli sfuggì un singulto.
“Ma non ho potuto. Sapeva che stavo arrivando”
“Tu.. tu… io…” la sua voce sussultava
“Non dire che ti dispiace”.
“Ma…”
“Non devi chiedere scusa per lui. Tu non hai fatto niente di male”.
Aveva imparato quelle parole molto tempo fa. Non erano altro che bugie, nascoste sotto la maschera della pietà. Ma ora suonavano diversamente…
Un rumore improvviso interruppe il loro colloquio.
Stava succedendo qualcosa… qualcosa di grave…
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Erano come dei gatti, gatti selvaggi che cercavano nel sangue la loro preda.
Quella preda che era sfuggita loro tante volte, l’unica cosa che volevano.
Perché si nascondeva?
Naturalmente… trovando lei, avrebbero scovato anche lui.
Era molto facile.
Come uccidere due uccellini con una sola pallottola.
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Come l’antica divinità indiana, i tre fratelli, Shiva, Brahma e Vishnu, penetrarono silenziosamente nella casa dell’assassino, nel suo unico rifugio.
Erano gli unici che potevano distruggere tutto.
I loro poteri, la loro stessa esistenza, erano la prova vivente del male.
Ora… un nuovo obiettivo… 009 doveva essere punito.
Era stato scoperto, il miglior killer che avessero mai avuto.
Non importava più ormai.
Comunque, c’erano sempre molti uomini da addestrare, molti altri futuri 009.
Che cos’era un uomo solo per loro?
Lui sapeva tutto di loro.
Ogni cosa.
Avrebbe potuto rovinarli.
Ecco perché doveva scomparire per sempre.
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Shiva dava calci alle porte interne della casa, cercando di stanarli.
Dov’era finito 009? Colui che aveva sterminato tante vite?
Era vero che era stato ferito?
L’immortale dio della morte, alla fine, lo aveva abbattuto come un cane?
Era qualcosa che lo fece sorridere.
“009!” la sua voce risuonò così forte che i suoi fratelli si voltarono.
Nella sua mano c’era una pistola, la stessa che 009 aveva usato così tante volte.
Com’era ironico… ucciso dalla sua stessa pistola!
Camminò nella stanza, cercando l’uomo che li aveva serviti…
009 era sdraiato sul pavimento, debole, senza forze. La ragazza vicino a lui aveva gli occhi spalancati dalla sorpresa.
Lo temeva?
Bene.
Com’è dolce la paura…
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Françoise tremò non appena si accorse che l’uomo davanti a lei stava per sparare.
Voleva ucciderla, voleva ucciderli entrambi?
Un momento…
Era un volto familiare.
Sì… sì… era Shiva… un uomo politico molto potente, suo padre lo conosceva bene!
“La piccola signorina Arnoud… manchi molto a tuo padre sai?” La sua voce era quella di un viscido serpente “E 009? Che peccato… cosa gli è successo?”
“Signore” la voce di Joe era flebile. Che cosa faceva lui lì? No… sì…
Era venuto per ucciderlo.
Era l’unica risposta.
“Oh, 009… Molto bene! Sembra proprio che tu abbia la signorina Arnoud nel palmo della tua mano. Eccellente!”
Françoise sobbalzò. Che significava?
No… non era possibile
Sì…
Tutte le parti del puzzle tornavano.
Anche lui l’aveva usata.
Proprio come tutti gli altri.
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No! Non poteva essere vero!
Avrebbe voluto gridare, piangere e disperarsi, perché non poteva essere vero!
Ma… oh… lo era.
Che cosa poteva fare?

 

Epilogo

Quando ti è mai capitato di pensare che sei solo?
Forse quando stai per morire?
O forse quando vedi finalmente la verità davanti agli occhi.
“Molto bene! Sembra proprio che tu abbia la signorina Arnoud nel palmo della tua mano. Eccellente!”
Come aveva potuto?
Aveva creduto che l’amasse, aveva visto per un momento qualcosa di buono in lui…
Come aveva potuto essere così sciocca?
Se fosse stata da sola, nella sua stanza, sarebbe crollata e avrebbe pianto.
Avrebbe pianto calde lacrime amare…
Ma non doveva farlo. Non doveva piangere. Non doveva farsi vedere debole.
Stava per morire.
Ed a nessuno sarebbe interessato.
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Si chiedeva che cosa stesse pensando, i suoi occhi erano così pieni di dolore.
Avrebbe voluto abbracciarla, tenerla stretta a sé, dirle che niente le sarebbe mai accaduto.
Ma le parole di Shiva avevano fatto crollare la speranza.
Non sarebbe mai stato felice.
Non avrebbe mai conosciuto la gioia.
Mai.
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Shiva sogghignò, mentre osservava la ragazza cadere sempre di più nel vortice dell’infelicità.
Era proprio come annientare due uccellini con un solo colpo; il killer sarebbe morto e la ragazza, che ora sapeva e aveva il cuore spezzato, non avrebbe fatto resistenza; il denaro di suo padre sarebbe stato ben presto nelle loro mani.
“Bene, signor Shimamura, sembra che sia giunto il tempo per te di morire” disse.
Alzò la sua pistola.
Tutto sarebbe finito presto.
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Era solo un assassino… tutto quello che si meritava era di morire…
Perché… perché accadeva tutto questo?
Perché provava queste sensazioni per qualcuno…
Qualcuno che non avrebbe mai potuto avere?
Era quasi ironico….
Sì, meritava di morire… ma allora lei sarebbe stata sola…
E non voleva più essere sola.
Quei mostri l’avrebbero uccisa…
Sarebbe scomparsa nel buio…
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Françoise si domandava che cosa sarebbe accaduto se fosse morta.
Qualcuno avrebbe pianto per lei? Oppure no?
Stava per morire, per andare in un mondo dove non avrebbe più dovuto piangere e soffrire per qualcuno… era come se il suo cuore stesse per esplodere, stava sanguinando di dolore…
Non per Scarl, che la voleva solo per il suo denaro.
Non per tutti quelli che la odiavano…
Per lui, solo per lui…
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La ragazza perse i sensi… il dolore era troppo forte
Era così bella che sembrava irreale.
Era meglio così.
Nessuna complicazione.
Shiva poteva ucciderli entrambi.
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Scarl comparve improvvisamente dal nulla, fissando Shiva negli occhi.
Brillavano per l’eccitazione…
Sparò…
Uno…
Due…
Tre colpi…
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Un riso soffocato fu la risposta di Scarl a quel massacro.
Shiva, Brahma, Vishnu… tutti morti.
Non credeva che sarebbe stato così facile.
Ora… doveva solo eliminare il killer e riprendersi ciò che gli apparteneva…
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Era un assassino…
Ma doveva proteggerla…anche a costo della sua vita.
Prese la pistola di Shiva dalla sua mano inerme.
Le sue dita tentarono un gesto disperato…
I suoi occhi erano ancora rivolti all’unica donna che lo aveva fatto innamorare.
Prese la mira…
E sparò.
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Scafrl sentì il colpo…
Non lo aveva previsto.
Chi… chi…
Il colpo era mortale…
Stava per morire.
Dopo tutto… non era immortale…
Dopo tutto…
Dopo tutto…
Le luci si spensero.
Non sentiva più niente.
Non vedeva più niente, solo…
Solo l’oscurità
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Cercò di reprimere il dolore ed afferrò la ragazza, cercando di trasportarla verso la sua automobile.
Aveva appena commesso il suo ultimo omicidio.
Aveva fatto la cosa giusta?
Sì…
L’amava.
E non poteva più negarlo.
Se solo fosse stato diverso.
Se solo…
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Françoise si risvegliò al suono del canto degli uccellini.
Era un sogno…?
Era stato tutto un incubo che non era mai accaduto?
I suoi occhi si aprirono lentamente sulla sua camera… nella sua casa.
Provò a calmarsi, cercando di credere che fosse stato tutto un sogno.
Ma…
Un segno.
Un piccolo anello d’argento al suo dito…
Non era suo…
Le lacrime le riempirono gli occhi.
Non era stato un sogno.
Quanto voleva dimenticare!
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I giorni erano passati velocemente.
Non sentiva più niente.
Nessuna paura, solo un dolore immenso, una lama impietosa che si divertiva a torturare il suo cuore…
Le avevano detto che era stata ritrovata nella sua stanza, svenuta, e che aveva pianto per giorni durante il sonno.
Non le importava…
Non voleva mangiare, voleva solo stare sola per poter piangere…
Che senso aveva vivere ancora?
Sì, che senso aveva?
Si alzò lentamente dal suo letto e si diresse verso il balcone.
Si fermò… era così facile…
Forse avrebbe dovuto farlo…
Forse questo era l’unico modo per dimenticarsi di tutto.
Un piccolo amaro sorriso comparve sul suo faccino dolce.
Nient’altro.
Saltò…
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“No!” gridò nella sua mente.
Quei giorni senza di lei.
Quei giorni insieme a lei, ore ed ore, non aveva potuto dimenticarla.
Quel dolce volto…
Lei era…
L’unico vero amore della sua vita…
Ed ora… aveva saltato…
Corse… riuscì ad afferrarla all’ultimo istante.
La sollevò, osservando i suoi occhi pieni di lacrime.
Scendevano libere sulle sue guance…
“Credevo… credevo che mi avessi abbandonata” la sua voce era flebile, senz’anima. Doveva aver sofferto molto.
“Mai… mai più”
Si perse ancora in quegli occhi azzurri, prese un respiro profondo, preparandosi a dire finalmente quelle parole che erano sempre state nel suo cuore, ma che la mente si rifiutava di esprimere.
“Françoise… ti amo. Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo. Non posso dimenticarti, non ci riesco”
La sua voce era calma, ma piena di passione…
Si stava riprendendo la sua umanità.
Lei sorrise, si asciugò le lacrime e lo abbracciò.
“Ho aspettato così tanto per sentirti dire questo”
Era tutto quello di cui aveva bisogno.
Le sorrise… il suo primo vero sorriso…
La baciò. Questa volta era diverso… tenendola stretta a sé, le stava dando tutto il suo amore…
Non gli importava più di niente… si era ripreso la sua vita.
E tutto grazie a lei.

 

© 01/09/ 2007

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